Gibe III è il nome di una diga gigante in costruzione nella valle dell’Omo, in Etiopia. Iniziato alla fine del 2006, il mega-progetto è affidato alla società italiana Salini Costruttori che sarebbe già a metà dell’opera. All’apparenza un’ottima notizia: dighe e acqua, uguale sviluppo. Ma l’equazione non è affatto matematica. Tutt’altro.
Sull’ambizioso progetto idroelettrico pesano le accuse di gravi violazioni delle leggi etiopi e delle convenzioni internazionali, denuncia la onlus Survival International. Inoltre, ogni “grande opera” che non rispetti il parere delle comunità locali, soprattutto in Africa, sa di grande affare ma di pessimo servizio alla gente. L’allarme è partito da associazioni locali e internazionali, prima fra tutte appunto Survival, che ritengono la diga catastrofica per i popoli indigeni della bassa Valle dell’Omo, già messi a dura prova dalla progressiva perdita di controllo e accesso alle loro terre. Il che significa che un’opera così, anziché aiutare la gente la penalizza. Eppure la Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) – la più grande banca cinese – ha accettato di finanziare parte della costruzione della diga, e nel 2012 la Banca Mondiale ha deciso di finanziare le linee di trasmissione dell’energia.
Il 31 marzo 2011 il governo etiope ha invece ritirato la richiesta di credito d’aiuto inoltrata al governo italiano nel 2009, interrompendo gli accertamenti sulla finanziabilità del progetto della Cooperazione Italiana, per via della pressione delle Ong italiane.
Quella che abbiamo appena raccontato è solo una delle tante storie di land grabbing (accaparramento della terra) che vengono quotidianamente subite in Etiopia. Nel 2011 il governo etiope ha cominciato ad affittare enormi appezzamenti di terra fertile nella regione della bassa valle dell’Omo ad aziende malesi, italiane, indiane e coreane, specializzate nella coltivazione di palma da olio, jatropha, cotone e mais per la produzione di biocarburanti. Sempre stando a Survival, per far spazio al grande progetto statale Kuraz Sugar Project le autorità hanno iniziato a sfrattare dalle loro terre i Bodi, i Kwegu e i Mursi, trasferendoli in campi di reinsediamento.
I granai delle comunità e i loro preziosi pascoli sono stati distrutti. Ecco perché opporsi al fenomeno del land grabbing in tutte le sedi (nazionali, europee, internazionali) è importante. E ignorare che esista il problema (all’origine della fame in Africa), come sta facendo l’Italia istituzionale all’Expo di Milano, ci rende complici e parte del problema. Fortunatamente la società civile italiana ha ben presente il problema e ne discute con grande cognizione di causa, anche a Milano. Cascina Triulza (la ‘casa’ della società civile che partecipa anche se un po’ marginalmente all’Expo promuove dibattiti su questi temi e va seguita con attenzione.
(ilaria de bonis)