Il mondo si aspetta che lo slogan dell’Expo “Nutrire il pianeta” diventi un reale impegno per bloccare quella finanza che spregiudicatamente continua a speculare sul cibo. Altrimenti le belle parole sulle eccellenze alimentari, sulle indispensabili difese delle biodiversità e sullo sviluppo di una agricoltura diffusa e sostenibile, fatta di produttori e di consapevoli consumatori, striderebbero di fronte al miliardo di persone che ancora convivono con lo spettro della fame e dell’indigenza.
Da Milano dovrebbe partire un’azione decisa, da parte dei governi, insieme alle altre istituzioni e associazioni interessate, per proibire che banche e hedge fund giochino con i derivati, soprattutto con i futures, sull’andamento dei prezzi dei prodotti agricoli.
Il cibo fa parte, con il petrolio e le altre materie prime, delle cosiddette commodity che sono sempre di più oggetto di morbosa attenzione e di interesse da parte dei settori della finanza in cerca di speculazioni ad alto rischio. Negli ultimi dieci anni si sono registrati momenti di altissima tensione e volatilità su questi mercati. Nel 2007, nel 2010 e nel 2012 si sono avuti dei boom dei prezzi seguiti poi da repentini abbassamenti. Ciò ha prodotto dal 2008 a oggi un aumento medio in termini reali di oltre il 50% dei prezzi delle derrate alimentari.
Questi improvvisi movimenti sui prezzi non sono il risultato del “gioco” della domanda e dell’offerta, ma di operazioni in derivati finanziari fatte da attori che non sono né coinvolti né interessati alla produzione o all’acquisto reale dei prodotti. Sono soprattutto futures, cioè scommesse sul prezzo futuro di un prodotto agricolo o di un minerale. Esperti della Commodity Futues Trading Commission, l’agenzia americana che dovrebbe regolare questi derivati, hanno denunciato che, nel mezzo della grande crisi, i capitali speculativi sul mercato delle commodity di Chicago sono passati dai 29 milioni di dollari del 2003 ai 300 miliardi del 2007-8. Sono chiamati “investimenti passivi” in quanto assumono posizioni speculative di lungo periodo, scommettendo su importanti aumenti dei prezzi del petrolio e/o delle derrate alimentari. Sono capitali su cui, operando con la leva finanziaria, si possono creare derivati finanziari per un valore di 30-100 volte maggiore della base sottostante. In altre parole per ogni tonnellata di grano prodotto se ne possono artificialmente vendere e comprare cento! Si è così inventato anche il “grano di carta”! Prima, con la speculazione sul petrolio, c’erano i cosiddetti “barili di carta”. Sono i miracoli della finanziarizzazione dell’economia.
Adesso i prezzi del cibo sono oggetto anche dell’ high frequency trading, cioè di operazioni finanziarie gestite automaticamente dai computer, per giocare su piccolissime variazioni del prezzo in millisecondi. Questo sistema, che muove il 90% dei volumi dei futures finanziari, ha già generato “situazioni valanga” con dei veri sconquassi del mercato. In questo modo si manipolano sia le aspettative degli andamenti di borsa che i prezzi, inducendo l’intero mercato a ritenere inevitabile il prezzo indicato dai futures.
I profitti naturalmente sono enormi. Ma l’eccessivo aumento dei prezzi delle derrate alimentari provoca delle impennate inflattive sui prezzi del cibo con effetti devastanti soprattutto nei Paesi più poveri del Sud del mondo. Di conseguenza, milioni di famiglie, che solitamente impegnano per l’alimentazione il 75% del loro bilancio, diventano incapaci di provvedere al loro minimo sostentamento, dando luogo, a volte, alle rivolte del pane. Si ricordi che tra le cause delle primavere arabe vi è stato anche l’aumento dei prezzi del cibo provocato dalla speculazione. Quando poi i prezzi scendono in modo altrettanto repentino, molti piccoli coltivatori, soprattutto dei Paesi emergenti, vengono messi fuori gioco, incapaci di reggere una volatilità così grande che si trasferisce velocemente dai mercati finanziari globali anche a quelli dei beni reali a livello locale.
E’ una aberrante deformazione dell’economia e della vita dei popoli. Le voci che si levano contro sono troppo poche. Solo papa Francesco non si stanca di ripetere, come ha fatto di fronte alla FAO, che <<è doloroso constatare che la lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla “priorità del mercato”, e dalla “preminenza del guadagno”, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria>>.
Viviamo il paradosso dell’abbondanza: ci sarebbe cibo per tutti, ma molti non lo possono avere, nemmeno per sopravvivere. In un mondo di crescenti conflitti, non solo politici e religiosi, perché non organizzare all’Expo un incontro su questi temi, con rappresentati della cosiddetta “finanza islamica” che da sempre è schierata contro la speculazione sul cibo e sulle derrate alimentari? Sarebbe un contributo importante per dare concretezza ad idee largamente condivise sul piano teorico, ma, purtroppo, non facilmente attuabili rispetto alle perverse logiche della pura speculazione e del dio danaro.
(Paolo Raimondi)